Anthony McCall: Solid Light

Anthony McCall: Solid Light - aperta fino ad Aprile 2025 alla Tate Modern di Londra - presenta alcune delle opere più significative dell’artista Britannico che, figura chiave del cinema avant-garde londinese degli anni settanta e autore dell'ormai leggendaria Line Describing a Cone (1973), si è imposto di nuovo all’attenzione di musei e gallerie internazionali a partire dagli inizi del nuovo millennio.

Le opere di “luce solida” di McCall sono invenzioni al crocevia di cinema, scultura, installazione, performance e disegno, pertanto è bene che la mostra si apra con uno spaccato della pratica lavorativa dell’artista. Disegni e studi, fotografie e documenti, prevalentemente provenienti dall’archivio dell’artista stesso, evidenziano la meticolosa pianificazione che accompagna ogni installazione.

Nella seconda sala, la proiezione di Landscape for Fire (1972) offre un esempio non solo della ricerca artistica londinese dei primi anni settanta ma anche l’accostarsi di McCall ad una pratica interdisciplinare. Dopo aver studiato grafica e fotografia, l’artista entrò a far parte della London Filmmakers Co-operative con l’intento di approfondire la documentazione delle performance come forma cinematografica.

Il film documenta una performance che si distingue, innanzitutto, per l’uso minimo degli elementi, in particolare del fuoco. Personaggi che indossano tute da lavoro bianche accendono fuochi in una coreografia orchestrata (e attentamente pianificata) di luci in un vasto paesaggio piatto: i fuochi sono allineati geometricamente in una griglia quadrata e accesi in una precisa progressione temporale. Nel frattempo, il suono lontano di un corno, il crepitio dei fiammiferi, l'accensione della benzina e la brezza del vento accompagnano e scandiscono i movimenti dei personaggi.
Questo lavoro ha segnato l’inizio dell’esplorazione di McCall su come luce, fumo e strutture geometriche possano combinarsi per creare esperienze immersive tridimensionali.

Anthony McCall, Landscape for Fire, 1972

Trasferitosi a New York nel 1973, durante uno dei periodi più importanti e stimolanti per le variegate aree d’indagine della ricerca cinematografica, l’artista cominciò a spostare la sua attenzione dalla performance al film con l’intenzione di produrre un cortometraggio che non si limitasse a documentare una performance avvenuta nel passato ma che esistesse nel momento della proiezione e fruizione. Il prodotto di tale ricerca, insieme allo studio della meccanica di proiezione della pellicola cinematografica, fu Line Describing a Cone (1973), il primo lavoro di “luce solida”.

“Luce solida” si riferisce all’insieme di effetti di volume generati dalla proiezione controllata di piani di luce nello spazio espositivo.
Utilizzando un proiettore cinematografico e una pellicola da 16 mm, McCall proietta un sottile raggio di luce su uno schermo, ma originariamente una parete. Un punto bianco su fondo nero si trasforma, nel corso di 30 minuti, in una linea che, inarcandosi, forma gradualmente un cerchio completo. Ma prima di essere trasformato in due dimensioni sullo schermo, il fascio di luce si trasforma in un cono che si estende attraverso lo spazio.

Anthony McCall, Line Describing a Cone, 1973

Fu solo verso la fine degli anni settanta che l’artista, invitato ad esibire il suo lavoro in una galleria svedese, scoprì di avere un problema di visibilità.
La qualità volumetrica del cono di luce dipendeva, infatti, dall’illuminazione di particelle (principalmente polvere e fumo di sigaretta) abbondanti nell'aria dei luoghi cinematografici d'avanguardia dove il film era stato fino ad allora proiettato (molto spesso edifici industriali abbandonati nel centro di New York ). Nella galleria scandinava, asettica e smoke-free, l’opera letteralmente svanì.

McCall ritornò a creare film di “luce solida” solo quando, a partire dalla fine degli anni novanta, poté contare sull’uso di una macchina artificiale per la creazione dell’elemento essenziale alla ricezione delle sue opere - la foschia.
Sin da allora, un rinnovato interesse per il lavoro di Anthony McCall si è accompagnato alla presenza di sue opere in una moltitudine crescente di mostre in musei e gallerie a livello internazionale.

Seppure il metodo di lavoro si sia trasformato, passando dall’analogico al digitale, McCall preferisce continuare a chiamare le sue opere d’arte proiettate “film” anche se la parola, che nell’uso comune si riferisce generalmente al medium della pellicola, causa una certa confusione tra il pubblico di lingua inglese.
Recentemente l’artista ha dichiarato che oltre a non avere alcuna obiezione ideologica all’uso del digitale, considera solo la seconda, più moderna, versione rispondente all’idea concepita nel 1973 quando, per via della tecnica di animazione all’epoca disponibile, la linea proiettata non aveva uno spessore uniforme e le due linee semicircolari che andavano a costituire il cerchio non collimavano.
L’ambito di ricerca si è ugualmente modificato, passando dal cinema alla scultura e alla considerazione del corpo dello spettatore.

Lo spettatore diventa parte attiva dell'opera. Assorbito lungo tutta la lunghezza del raggio di luce, dall’immagine proiettata al proiettore, lo spettatore fruisce la proiezione aggirandola e attraversandola. Sfidando le regole del cinema, lo spettatore deve dare le spalle alla forma volumetrica. Per esso, quindi, non esiste un unico punto di messa a fuoco: può osservare il cerchio che cresce sullo schermo, o il cono che cresce tra lo schermo e il proiettore, oppure muovere lo sguardo tra i due. Ma, soprattutto, può decidere di “rompere” il cono inserendosi tra il proiettore e lo schermo. Anzi, la forma geometrica è così reale che non è raro trovarsi a schivare il fascio di luce così come ci si trova istintivamente a schivare qualcosa che sta per colpire la faccia.

Nella terza e ultima sala, tre opere illustrano la direzione in cui la ricerca dell’artista si sta sviluppando.
Non più legato alle proporzioni 4:3 dei proiettori analogici, McCall è stato in grado di arricchire il suo, pur sempre limitato, vocabolario grafico con l’introduzione di onde progressive e, più recentemente, onde circolari.
La sperimentazione e sviluppo di quest’ultima gli ha consentito di realizzare forme più complicate, trasformando frammenti di spazio all’interno delle opere di “luce solida”.

Anthony McCall, Doubling Back, 2003

In Face to Face (2013) la natura immersiva e interattiva è stata accresciuta grazie all’utilizzo di due proiettori che creano forme curvilinee ad incastro attraverso le quali lo spettatore può non solo muoversi ma vedere "l'impronta" della forma in cui si trova.

Anthony McCall, Face to Face IV, 2013

La mostra culmina con il recente Split-Second (Mirror) (2018), il primo dei lavori specchianti e, forse, quello visivamente più complesso concepito fino ad oggi da McCall. Per creare un ambiente dinamico e mutevole che sfida la percezione dello spazio da parte dello spettatore, l’artista ha infatti utilizzato uno specchio per interrompere il piano di luce.

Continuando ad utilizzare dispositivi cinematografici, McCall crea ambienti che, meditativi e giocosi, spostano i confini del modo in cui sperimentiamo i suoi spazi scultorei.

Antonella Guarracino

Art History buff. Still shooting film. Getting mail in Wicklow, Ireland.

https://antonellaguarracino.com/
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