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Una selezione delle cose lette, ascoltate, e viste. 2024 | Maggio.
Anselm è un documentario serio e severo ma anche epico e sublime. Anche se non l’ho visto sul grande schermo in 3D, ho apprezzato particolarmente le riprese nei laboratori, o meglio capannoni industriali, dell’artista tedesco. ‘La Ribaute’, ovvero il luogo dove Kiefer ha vissuto e lavorato fino al 2007 - vicino Barjac, misura appena quaranta ettari - mi ha fatto venir voglia di partire subito per il sud della Francia. Lo studio museo, che è adesso controllato da una fondazione, ha infatti aperto al publlico nell’estate del 2020.
Se non riuscite a vedere il film ma volete comunque farvi un’idea del posto, date un’occhiata alle foto che accompagnano questo articolo apparso sul New York Times alla fine del 2022.
Restando in tema di foto, la mia attenzione è stata (ovviamente) catturarata (anche) dalla macchina fotografica che Kiefer-giovane adulto usa per fotografare un paesaggio innevato.
La Linhof Technorama 612 PC ha un obiettivo grandangolare con lente montata su un supporto con spostamento verticale che, riducendo il grado di convergenza delle linee parallele orizzontali e verticali, la rende particolarmente adattata a fotografare paesaggi ed edifici.
Pompeii: The New Dig è un programma in cui mi sono imbattuta un po’ per caso curiosando sul player della BBC. Nè lo scavo, nè la trasmissione sono nuovi.
Lo scavo è quello della casa con panificio anesso e affresco che, raffigurante l’antenato della pizza, ha attiraro l’attenzione un po’ di tutti i media. Il racconto in tre puntate non è particolarmente sensazionale (Alberto Angela ne produce di più avvincenti) ma ho deciso di includerlo in questa lista per il lavoro di ricerca che Steven Tuck, professore all’Università di Miami, ha svolto e continua a svolgere per ricostruire cosa è accaduto a quelli che sono riusciti a salvarsi dall’eruzione del Vesuvio del 79 - ai rifugiati di Pompei insomma.
Il rosso, non pompeiano, del ritratto ufficiale di Re Carlo III è diventato subito meme. Fra le tante opinioni e interpretazioni, di cui molte lasciano il tempo che trovano, vi segnalo questo articolo in cui l’autore sostiene che l’opera di Jonathan Yeo sarebbe un perfetto esempio di ‘Disrupted Realism’ - un genere pittorico che fonde rappresentazione e astrazione in modi inaspettati.
Un ritratto di Gina Rinehart, la donna più ricca d’Australia, è stato invece (a dire il vero, lo è ancora) al centro di una spassosissima vicenda.
Quando la magnate ed ereditiera ha chiesto alla National Gallery of Australia di Canberra di non esporre l’opera in cui l’artista aborigeno Vincent Namatjira l’ha ritratta in compagnia di altre personalità più o meno note (guarda, guarda! c’è anche Re Carlo III), ha ottenuto esattamente l’effetto contrario.
Nonostante la vicenda offra già abbastanza materiale per uno di quei romanzi satirici ambientati nel mondo dell’arte contemporanea così di moda in questi ultimi anni, per coloro che non hanno in sè questo dono d’amore o tempo la riassumo qui di seguito.
Sembra che la magnate non solo non abbia apprezzato lo stile caricaturale dell’opera che vi ho mostrato sopra, ma anche che si sia particolarmente indispettita perchè il ritratto da lei donato ben cinque anni fa alla National Gallery of Australia non è ancora stato esposto.
In realtà la galleria non ha ancora deciso se accettare la donazione o meno perchè ‘accompagnata’ da imposizioni di particolari obblighi. Quest’ultima notizia è stata però presto smentita dal portavoce di Hancock Prospecting, l’azienda mineraria che Gina Reinhart ha ereditato, il quale ha precisato che è stata la galleria a chiedere al boss di commissionare e poi donare un ritratto di sè stessa.
Ed eccola qui, l’effige prediletta “less ruddy-chubby-cheeked, more easy-breezy-beautiful” - meno guance paffute, più bellezza disinvolta.
Un po’ stile The McGregor Saga, aggiungerei.